Prescrizione, produzione/importazione, preparazione e dispensazione. Pochi passaggi che descrivono brevemente, ma con una certa chiarezza, il percorso della cannabis terapeutica fino alle mani del paziente italiano. In base a che sia mutuabile o a pagamento, incorrono certe differenze, ovviamente economiche, ma anche legate ai tipi di preparazioni disponibili e alle direttive delle singole regioni. In ogni caso tutto comincia dalla prescrizione del medico curante. La legge del 4 dicembre 2017, n. 172 chiarisce i limiti della prescrizione con dispensazione a carico del SSN e allo stesso modo ribadisce la possibilità del medico di prescrivere (con spese a carico del paziente) secondo direttive della legge 8 aprile 1998, n. 94.

“Le preparazioni magistrali a base di cannabis prescritte dal medico per la terapia contro il dolore ai sensi della legge 15 marzo 2010, n. 38, nonché per gli altri impieghi previsti dall'allegato tecnico al decreto del Ministro della salute 9 novembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 30 novembre 2015, sono a carico del Servizio sanitario nazionale, nei limiti del livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato. Il medico può altresì prescrivere le predette preparazioni magistrali per altri impieghi, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 17 febbraio 1998, n. 23, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 1998, n. 94.” (LEGGE 4 dicembre 2017, n. 172)

La legge appena ricordata rende, in teoria, disponibile la cannabis mutuabile su tutto il territorio nazionale per le seguenti patologie:
terapia del dolore (potenzialmente qualsiasi tipo)
dolore e spasmi da sclerosi multipla,
cachessia (in anoressia, HIV, chemioterapia),
vomito e inappetenza da chemioterapici
glaucoma
sindrome di Tourette
Questa situazione però deve necessariamente passare al vaglio di ogni singola regione, incaricata di emanare direttive atte a regolare la dispensazione della sostanza. Alcune regioni dunque hanno disposto come a carico del SSR solamente le terapie del dolore o, in ogni caso, non hanno recepito tutte le aperture statali. Così pure per la possibilità di prescrivere in clinica o domiciliarmente per il medico di base o lo specialista. In alcune regioni le farmacie territoriali possono dispensare preparazioni galeniche a base di cannabis mutuabile, mentre in altre questo servizio può essere assolto esclusivamente dalle farmacie ospedaliere.

Il medico potrà scegliere, in base alle esigenze del paziente e al suo storico di sperimentazione, differenti tipologie di infiorescenze per la preparazione da somministrare. In Italia sono disponibili alcune varietà di cannabis importate dall’estero, soprattutto Olanda, e una (per adesso) varietà autoctona: la FM2, coltivata presso lo stabilimento farmaceutico militare di Firenze (ad oggi l’unico ente autorizzato alla coltivazione). Qui si produce in GMP (good manufacturing practices) secondo direttive europee e questo costituisce un vanto a livello nazionale, anche se per via dei limiti di produzione dello stabilimento e dei tetti di esportazione/importazione con l’Olanda, molti pazienti soffrono a singhiozzi di una certa carenza e penuria del prodotto sia mutuabile che a pagamento.
È vero che, come avvenuto di recente, “per assicurare la disponibilità di cannabis a uso medico sul territorio nazionale, anche al fine di garantire la continuità terapeutica dei pazienti già in trattamento, l'Organismo statale per la cannabis […] può autorizzare l'importazione di quote di cannabis da conferire allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, ai fini della trasformazione e della distribuzione presso le farmacie”. In verità sembrano altre le strade più verosimilmente percorribili in un’ottica più di lungo periodo, come l’apertura alla coltivazione per nuovi enti accreditati o l’implementazione delle capacità produttive dell’IFMF.

All’atto finale, prima della dispensazione, entra in gioco il farmacista in qualità di preparatore. Il suo protocollo d’azione è ben descritto nel DM 9 novembre 2015 di cui segue un estratto:

“Il farmacista acquista la sostanza attiva di origine vegetale a base di cannabis mediante il modello di buono acquisto […] e ne registra la movimentazione sul registro di entrata uscita degli stupefacenti in farmacia […]. Il farmacista allestisce in farmacia, in osservanza delle Norme di Buona Preparazione (NBP), preparazioni magistrali a base di cannabis che comportino la ripartizione della sostanza attiva in dose e forma di medicamento, secondo la posologia e le modalità di assunzione indicate dal medico prescrittore, in conformità alle […] istruzioni per l'uso medico della cannabis che prevedono l'assunzione orale del decotto e la somministrazione per via inalatoria, mediante l'uso di uno specifico vaporizzatore. Al momento non esistono studi su eventuali effetti collaterali o tossicità acuta di preparazioni vegetali definite come «olio» o «soluzione oleosa» di cannabis, che consistono in non meglio specificati estratti di cannabis in olio e/o altri solventi. Pertanto, per assicurare la qualità del prodotto, la titolazione del/i principio/i attivo/i deve essere effettuata per ciascuna preparazione magistrale con metodologie sensibili e specifiche quali la cromatografia liquida o gassosa accoppiate alla spettrometria di massa ovvero il metodo di estrazione deve essere autorizzato ai sensi della normativa vigente. […] copia della ricetta timbrata e firmata dal farmacista all'atto della dispensazione deve essere consegnata al paziente o alla persona che ritira la preparazione magistrale a base di cannabis”.

Ognuna delle tre preparazioni considerate dal ministero ha sia punti forti che deboli, relativi specialmente ad assorbimento e prezzo. Il vaporizzatore Volcano, per esempio, può rappresentare una spesa piuttosto onerosa, così come una terapia a base di olio di cannabis che purtroppo risente delle spese di titolazione sostenute dal farmacista stesso.